PARROCCHIA - Parrocchia di San Marco Evangelista

PARROCCHIA DI SAN MARCO EVANGELISTA
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LA PARROCCHIA
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IL PARROCO
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Sono don Mirko Pozzobon, nato a Feltre nel 1981. Sono diventato sacerdote il 19 maggio 2007. Come primo incarico, il vescovo Giuseppe Andrich mi ha mandato a studiare Sacra Scrittura a Roma. Dal 2007 al 2014 sono stato studente a Roma, e alla fine ho preso il Dottorato. Sono stati anni molto belli: tornavo per Natale, Pasqua e per l’estate in diocesi e facevo il “tappabuchi” dove c’era bisogno. In questo modo ho visto davvero tante realtà della nostra diocesi. Nel 2014, tornato da Roma, sono stato mandato a Longarone-Igne-Ospitale-Fortogna come cappellano, e avevo come parroco il grande e compianto don Gabriele Bernardi. Nel frattempo ho iniziato a insegnare a Belluno, Treviso, Padova, Trento: le mie materie sono Introduzione alla Bibbia e Libri profetici – Libri sapienziali. Tra le attività che ricordo di più a Longarone ci sono i Grest e il gruppo teatrale che ho creato, e con il quale abbiamo messo in scena alcune rappresentazioni. Mi considero fortunato ad aver potuto vivere per quattro anni insieme a don Gabriele. Dall’esperienza a Longarone è nato in me il desiderio di riflettere e di scrivere, per offrire a più persone possibile un modo nuovo di pensare alla vita in parrocchia. Finora ho pubblicato tre libri. Un’altra attività che facevo prima del covid erano le puntate su Telebelluno, in cui – alla presenza di alcuni giovani – spiegavo i brani della Bibbia. Mi piacerebbe riprendere quel servizio. Nel 2018 il vescovo mi ha mandato a Sedico-Bribano-Roe, prima come cappellano con il parroco don Cesare Larese, e poi tre anni come parroco in solido assieme a don Sandro Gabrieli. Sono stati gli anni della pandemia, che ha reso tutto più difficile. Ho avuto modo però di conoscere molte persone, di affezionarmi a loro, in particolare ai ragazzi: dell’esperienza a Sedico ricordo i campeggi, gli scout, i Grest estivi, il gruppo biblico, le cene in canonica con i ragazzi, e le tante iniziative presenti su quel territorio. Sono anche coinvolto nell’ODAR, in particolare nel mondo del volontariato dei ragazzi al Villaggio San Paolo al Cavallino, seguendo gli incontri durante l’anno e cercando durante l’estate di vivere alcune giornate con i ragazzi volontari. Nell'estate 2022 il vescovo Renato mi ha chiesto un cambio di servizio pastorale, per iniziare a Feltre il percorso comune delle tre parrocchie di Boscariz-Farra-Mugnai. Sono contento di poter avere in don Umberto Antoniol un collaboratore e di fare vita comune con lui in una canonica. Così pure è mia volontà collaborare con i sacerdoti feltrini e le comunità delle parrocchie vicine. Rivolgo un caro saluto a tutti voi, e spero di potervi conoscere di persona un po' alla volta nelle prossime settimane.




CENNI STORICI
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Parrocchia fondata il 4 novembre 1917, anche se la chiesa ottenne il titolo di "chiesa parrocchiale" già dal 1915.




LA CHIESA PARROCCHIALE
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La chiesa di Mugnai fu edificata intorno al 1860 grazie all’iniziativa del parroco di San Marco mons. Antonio De Carli (1839-1866) poiché la chiesetta antica (risalente al XIII-XIV secolo) che sorgeva sul luogo oggi occupato dal cimitero, risultava ormai insufficiente alle esigenze del paese. L’edificio fu realizzato con il lavoro prevalente della popolazione e venne inaugurato con cerimonia solenne il 12 ottobre 1862, seconda domenica del mese, e in quell’occasione vi furono traslate le reliquie del martire San Cecilio scoperte qualche anno prima nelle catacombe di San Saturnino a Roma.
La chiesa, della quale non si conosce il progettista, è composta da un’unica navata con copertura a volta sulla quale sono affrescati tre tondi rappresentanti le virtù teologali. Il presbiterio, sopraelevato rispetto al piano della navata, è dotato di copertura a cupola alla base della quale sono affrescate le immagini dei quattro evangelisti.
Esternamente la chiesa presenta un unico campanile completato nel 1876. Il progetto originario prevedeva la realizzazione di una seconda torre campanaria che però, per mancanza di fondi, rimase solo abbozzata e fu eliminata definitivamente nei primi decenni del XX secolo.
Quando l’edificio sacro fu completato vi furono collocate le opere d’arte provenienti dalla demolita chiesetta antica.
Alle spalle dell’altar maggiore è posta la tela raffigurante la Madonna con il Bambino, San Marco e San Giovanni Battista (1586 ca.) olio su tela di Pietro Marescalchi (1522 ca - 1589). L’opera rappresenta la vergine posta su un trono con in braccio il bambino. In primo piano vi sono le figure dei santi accompagnati dagli animali che li rappresentano: il leone e l’agnello. Fra di essi, in basso, è dipinta la firma dell’artista: P. DE MARISCH. P.
Dello stesso autore è la bella Madonna con il Bambino, San Giuseppe, Sant’Agata e Santa Apollonia posta sopra l’ingresso laterale e scoperta nel 1948 dal Prof. Giuseppe Biasuz appesa ad una parete della sagrestia vecchia. Si tratta di una sacra conversazione nella quale le sante offrono alla Madonna e al Bambino i simboli del proprio martirio. In disparte San Giuseppe assiste raccolto alla scena.
Ai lati del presbiterio si trovano due tele del pittore Domenico Falce (1619-1697) che raffigurano la Adorazione di Gesù Bambino e la Natività di Maria, quest’ultima recante la dicitura DOM.US FALCE EQVES F. MDCLXXXV. Per confronto con la pala di Sant’Orsola, custodita nell’omonima chiesa di Feltre, firmata e datata 1655, viene attribuita al Falce anche la Madonna del Rosario. Il dipinto presenta come figure centrali la Madonna con Gesù bambino in braccio venerata dai santi Domenico e Caterina da Siena.
Le 15 formelle con i misteri del Rosario circondano le figure creando uno stacco con i devoti raffigurati nella parte inferiore
Attribuita a Paolo dal Pozzo è invece la tela raffigurante S. Antonio Abate ritratto con i segni tradizionali del fuoco (tenuto in mano), del campanello e del maiale posto ai piedi del santo. L’opera fu commissionata dal conte Ottavio Zasio che possedeva una residenza dominicale in Spiesa. Vi si legge, infatti, la dedica OCTAVIUS ZASIUS L.V.D. DONAVIT ECCLESIAE MUGNAI – MDCLXVIII.
La chiesa di San Marco Evangelista possiede anche due statue lignee dello scultore Francesco Terilli (1584? – 1635) collocate entro nicchie ai lati dell’altar maggiore. Rappresentano gli Evangelisti San Marco e San Giovanni e furono portate nella chiesa di Mugnai intorno al 1860 da don Antonio De Carli che le ottenne da una non meglio precisata chiesa feltrina, forse uno dei tanti conventi soppressi all’inizio del XIX secolo. Sul libro aperto di San Marco è riportata la data 1633 che rappresenta l’ultima annotazione di attività del Terilli.
Infine, gli altari laterali contengono due statue moderne (sec. XX) che ritraggono la Madonna della Salute e San Cecilio martire. Ai piedi di quest’ultima, entro un urna lignea, sono conservate le reliquie del giovane martire compatrono della parrocchia di Mugnai..




L'ORGANO DELLA PARROCCHIALE
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LA "CESOLA"
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Cenni storici

La chiesetta della Visitazione della Beata Vergine Maria costituiva, nella sua forma originaria precedente all’ampliamento realiz-zato verso est nel 1953, l’oratorio privato della nobile famiglia Bellati che possedeva nelle vicinanze una residenza dominicale.
L’epoca di costruzione deve essere successiva al 1520 poiché nell’estimo di quell’anno il nobile Bellatino Bellati dichiara di possedere “...unum sedimen domorum non completum...”, indice che la residenza alla Gorda non era ancora terminata e quindi è logico pensare che l’edificazione dell’orato-rio non fosse ancora iniziata. Tuttavia, a metà del XVI secolo il complesso residenziale doveva essere completato poiché era in funzione il pozzo ancor’oggi visibile sul cortile della proprietà e sulla cui vera (il parapetto in pietra posto attorno all’imboccatura) è scolpito lo stemma dei Bellati con l’iscrizione A B MDLII (Ambrosio Bellati 1552).
La prima notizia storicamente certa riguardante la chiesetta risale a domenica 2 ottobre 1575 quando il vescovo di Feltre Filippo Maria Campeggi, a Mugnai per la visita pastorale, si recò a far visita alla chiesa, definita come cappella (“ad videndam ecclesiam seu capelam”), di proprietà del nobile Ambrosio Bellati con-cedendo, a quanti vi si fossero fermati in preghiera, 40 giorni di indulgenza.
Una prima descrizione della chiesetta si trova nella visita del presule feltrino Zerbino Lugo del 15 ottobre 1642. Innanzitutto si dice che l’oratorio è dedicato alla Beata Vergine di Loreto ed è dotato di un unico altare mobile e non consacrato per utilizzare il quale si utilizzano due gradini in legno che però risultano essere troppo stretti. Sopra l’altare è posta una pala lignea raffigurante la Vergine Maria “…picta et inaurata…”.
L’architettura dell’edificio era identica a quella ancora riscontrabile oggi. La copertura era a volta mentre il pavimento era in mattonelle di cotto (ex lapidibus coctis). Le porte erano due, una sulla via pubblica e l’altra verso la proprietà Bellati. Vicino a quest’ultima, allora come oggi, trovava posto la piletta dell’acqua santa. Confermata anche la presenza delle due piccole finestre, poste nella stessa posizione odierna, che erano dotate di vetri ed inferriate (fenestras vitreate et feriate unam hinc inde).
Nei successivi do-cumenti e fino alla data dell’8 maggio 1741 l’oratorio conserva l’inti-tolazione alla Beata Vergine Maria, ma nella visita pastorale del vescovo Andrea Minucci del 17 maggio 1760 si fa riferimento alla chiesa di Santa Maria Elisabetta e nella successiva del 25 giugno 1766, sempre a cura dello stesso vescovo, alla ecclesiam Visitationis Beate Marie Virginis, titolo con il quale ancor’oggi è conosciuta.
Fu in quest’occasione che fu dato ordine, fra le altre cose, di procedere alla copertura degli affreschi esistenti (dealbari muros ab utroque latere), forse ritenuti non troppo confacenti alla sacralità del luogo.
L’edificio, in quanto cappella privata di famiglia, fu anche un luogo di sepoltura come riportato nel registro dei defunti conservato presso il Duomo di Feltre nel quale, in data 26 luglio 1684, si ricorda la tumulazione di Antonia vedova del nobile Matteo Bellati.
Ma fu anche luogo nel quale affidare alla pietà popolare quei neonati indesiderati o che non potevano essere allevati come nel caso del piccolo Pietro, un trovatello che il primo agosto 1699 venne raccolto proprio sulla porta della Cesòla.
Verso la metà del XIX la residenza dominicale dei Bellati, e con essa la chiesetta, passò alla famiglia Maccagnan, proveniente da Agana in comune di Fonzaso, i discendenti della quale tutt’ora vi risiedono.
I diritti dei nuovi proprietari sulla Cesòla, però, vennero messi in discussione nel 1933 dall’allora parroco di Mugnai don Giovanni Sebben che riteneva l’edificio sacro come proprietà dalla Parrocchia.
Fra il 1951 e il 1952, su iniziativa di Vittorio Maccagnan e del parroco don Angelo Turrin, prese corpo l’idea di ampliare il piccolo edificio sacro che risultava insufficiente alle esigenze del paese. Il 20 gennaio 1953 la Commissione Diocesana per l’Arte Sacra autorizzò l’intervento che fu portato a termine dai paesani ed inaugurato solennemente il 21 novembre 1954 alla presenza del vescovo di Feltre Gioacchino Muccin.

Aspetti architettonici ed artistici

La chiesetta originaria presenta una struttura molto semplice nonché di dimensioni contenute (m. 3.10 x m. 4.76) con volta a botte ed abside rivolta ad occidente, illuminata da due piccole finestre ad arco sulle facciate nord e sud.
Prima dell’ampliamento realizzato negli anni cinquanta del XX secolo, era dotata di un piccolo campanile a vela posto sopra la facciata principale e di un occhio cen-trale sul tipo di quello ancora oggi visibile. L’abside, ricavato con una piccola nicchia di circa 50 cm., è dotato di un’alzata d’altare seicentesca in legno intagliato, dipinto e dorato che fu rimaneggiato nel 1731, data dipinta fra le due colonne di destra.
All’interno è posta una pala (cm. 90 x cm. 120) che raffigura l’incontro della Vergine con Elisabetta ambientato sulla scalinata di un palazzo. In alto a destra Zaccaria assiste alla scena mentre in basso sono rappresentati due popolani (un uomo e una donna) che recano l’uno un bastone e una bisaccia e l’altra un cesto con due polli. La composizione pittorica presenta una cromia scura ravvivata, però, dai colori vividi delle vesti dei personaggi.
Il dipinto, del quale non si conosce l’autore, è di alto livello qualitativo e fu donato dal nobile feltrino Paolo Salce nel 1616 come si legge dalla scritta “Ex voto-DNI PAULI SALCIJ-MDCXVI” posta nell’angolo in alto a destra.
La tela è stata oggetto di un primo intervento di restauro nel 1993 e da uno successivo nel 2008 a cura della restauratrice Mariangela Mattia. L’opera, infatti, si presentava notevolmente scurita ed opacizzata da un consistente strato di polvere fumo di candele e sporco di  varia natura depositatosi sullo strato di vernice protettiva ancora presente, anche se alterato.
Il colore era sollevato in alcune zone, corrispondenti alle vesti delle due donne, alle fascia di bordo in basso, e ad una parte in alto dell'architettura. Il supporto tessile presentava tre piccoli fori in basso e uno in alto, al centro.
Si leggevano sull'opera delle cadute di colore, diffuse, però di piccola entità: da alcune di queste traspariva la preparazione, gessosa, di colore chiaro; da altre si intuivano delle porzioni di colore diverso dal soprastante.
In seguito ad una attenta analisi di questa situazione è stata eseguita una radiografia di tutto il dipinto: è risultata, su tutta la superficie, la presenza di uno strato pittorico sottostante, probabilmente cinquecentesco, dove viene ripro-posta la stessa scena, con la Vergine, Elisabetta e Zaccaria.
Sempre all’interno dell’edificio sacro, nella parte di più recente costruzione, sono collocate anche due statue lignee raffiguranti la Madonna pellegrina e San Pio X, entrambe risalenti alla metà del XX secolo.
Il restauro eseguito sulle pareti interne della chiesa ha consentito di riscoprire un importante ciclo di affreschi ascrivibili al XVI° secolo.
Questi non erano visibili perché ricoperti da vari strati di tinteggiature realizzate a calce e a tempera.
Sebbene lo strato superiore fosse piuttosto sottile, è risultato estremamente resistente e, se da un lato, ha preservato gli affreschi sottostanti ne ha resa molto lunga e laboriosa la messa a nudo, che è stata eseguita dai restauratori, millimetro dopo millimetro, a bisturi.
Gli affreschi sono pressoché integri, alcune perdite si lamentano soltanto nella parte basamentale dove l’umidità del terreno ha intaccato le murature, facendone sgretolare gli intonaci.
Lungo le pareti laterali una finta mensola dipinta (soasa) individua l’imposta della volta a botte; questa viene interrotta soltanto da eleganti finte architetture che imitano modanature e cornici che bordano le finestre, dalla porta a nord e dalla nicchia a sud.
Queste architetture disegnate rappresentano davanzali, mensoloni e volute scultoree di color ocra molto intenso o di un pallidissimo color avorio; di particolare pregio, per la somiglianza al materiale reale, sono gli inserti in finto marmo rosato.
I decori che più attirano l’attenzione sono però i telamoni che incorniciano i fori; si tratta di figure maschili allungate dalle vesti stracciate, saldamente appoggiati sulle finte architetture e disegnati a monocromo sempre nella tavolozza del giallo ocra con ombreggiature brune.
Il tutto è arricchito da figure adagiate sulle mostre delle finestre e da mascheroni dagli sguardi intensi ed inquietanti, dipinti con poche pennellate e tocchi sicuri.
Questi elementi sono raccordati da finte ghirlande di frutta, foglie e racemi vegetali intrecciati, appesi ad anelli metallici con nastri e lacci; il tutto era realizzato a tinte vivaci ora, purtroppo, sbiadite in alcune parti.
Nella parete sud, tra la finestra e la nicchia, è appena percettibile lo stemma dipinto della famiglia Bellati, proprietaria della villa della quale la chiesetta era la cappella privata. Sullo sfondo l’arcone che incornicia l’altare è decorato da una doppia ghirlanda di frutta e foglie, trattenute da nastri intrecciati azzurri la cui tonalità, purtroppo, è andata persa.
Questo motivo decorativo fitomorfo è interrotto, ai lati, da due finte nicchie, anch’esse bordate da piccoli telamoni, all’interno delle quali è rappresentato l'episodio dell'Annunciazione con, a sinistra, l'arcangelo Gabriele ed a destra il turbamento della Vergine. Sull’oculo sommitale troviamo la consueta crocefissione.
Di straordinaria importanza è l’affresco situato dietro il paliotto ligneo dell’altare che rappresenta un “compianto” di elevata qualità pittorica. Sono rappresentate cinque figure delle quali, quelle centrali, a monocromo, dipinte con la medesima tecnica veloce ed impressionista dei telamoni, mentre le due figure laterali sono dei “ritrattini” policromi e vogliono forse rappresentare coloro che hanno commissionato l’affresco.
Si tratta di una raffigurazione drammatica e dolente la cui intensità ci fa ipotizzare che avesse una valenza privata e che non fosse sempre visibile; forse era celata da un più antico paliotto o semplicemente da drappi appesi sotto la mensa dell’originario altare ligneo. Di questo affresco si era completamente persa la memoria e costituisce un inedito elemento di ricerca per gli studiosi e gli storici dell’arte.
Nel suo insieme il repertorio iconografico realizzato nella “Cesola” è molto simile a quanto dipinto, in quegli stessi anni, da Pietro Marescalchi nella vicina Villa Tonello di Arten, a casa de Mezzan a Feltre o a Villa Bellati a Tussui di Cesiomaggiore; il comune denominatore sembra essere l’impaginazione delle scene, contraddistinta da finte logge sorrette da telamoni.
Proprio all’abilità di questo importante mastro del '500, a prima analisi, sembrano attribuibili gli affreschi di Mugnai.

Tradizioni

Ogni anno, il 2 luglio, quando secondo l’antico calendario liturgico ricorreva la Visitazione della Beata Vergine Maria a Santa Elisabetta, i fedeli della parrocchia di Rasai si recano processionalmente alla Cesòla, un tempo percorrendo la strada che attraversava il greto del torrente Stizzòn ed il Bosco delle Gazze.
Inoltre, in occasione dei temporali estivi particolarmente violenti, al fine di scongiurare il pericolo della grandine, era usanza suonare la piccola campana della chiesetta.

Fra il 2005 e il 2009 la chiesetta è stata oggetto di un considerevole intervento di restauro con il recupero degli affreschi interni della parte antica curato dal restauratore Federico Pat e da Massimo Riva con la direzione dell’Arch. Cristiano Velo.
Ad essi si sono aggiunte tante persone ed enti che con il loro lavoro o contributo hanno reso possibile il recupero di questa preziosa testimonianza storica ed artistica.





LA CASA PARROCCHIALE
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